“Sono avvelenato“. Non era mai intervenuto nelle travagliate vicende nettunesi, adesso che il Consiglio Federale ha assegnato scudetti, stella e altri titoli al Nettuno 1945 Giampiero Faraone, mito vivente del batti e corri italiano, esprime il suo rammarico: “Non capisco cosa ci sia da vantarsi, quegli scudetti sono stati vinti sul campo, a loro li ha assegnati un giudice, c’è chi ha tribolato per 60 anni dietro a questo sport, adesso arrivano e si prendono tutto. Lo ha stabilito un giudice? Va bene, ma che se ne vantino non mi va proprio giù“.
Di quei titoli – da giocatore o allenatore – glie ne mancano solo quattro: “I primi, negli altri c’ero, li abbiamo sofferti e sudati uno a uno, sappiamo i sacrifici fatti, quanto è stato difficile, dispiace che sia finita così“.
Inevitabile il riferimento alle società spezzettate: “Avevano iniziato bene, poi francamente non so e non voglio sapere cosa è successo, ma il Nettuno, quel Nettuno, non esiste più, i tifosi sono disorientati e mi piacerebbe sapere da chi oggi si vanta se conoscono i giocatori e gli allenatori del passato, uno a uno, mi piacerebbe far loro questa domanda“.
La decisione è stata presa, tornare indietro è difficile: “Io non capisco nemmeno la federazione, ma ormai è fatta, però sono libero di dire che non mi piace affatto“. C’è voluta la sentenza per far uscire allo scoperto un personaggio – 80 anni compiuti qualche mese fa – che nella sua lunga carriera tra Nettuno e Nazionale non ha mai fatto una polemica: “L’ho già detto, sono proprio avvelenato“.