Grazie Macerata. Il coraggio e il senso di responsabilità dei marchigiani, neopromossi in A1 a 30 anni dalla loro ultima apparizione del 1990, ha permesso di allungare di 150 chilometri il campionato più corto della storia dopo l’edizione pionieristica del 1948. Sei squadre, cinque raggruppate attorno alla via Emilia più, appunto, il Macerata. Un campionato che va da Parma alle Marche, un torneo decisamente povero, figlio dell’emergenza Coronavirus che ha cancellato Torino, Redipuglia e le due nettunesi, ma tutto sommato nemmeno tanto lontano da certe recenti edizioni, a partire da quelle tristissime e zoppe del 2016 e dello scorso anno con sole 7 concorrenti al via. In tempi di pandemia, insomma, non c’è nemmeno tanto da lamentarsi.
Il dato di fatto più importante è che oggi si gioca. Su tre soli campi, ma si gioca. E questo è un successo che va riconosciuto, innegabilmente, ad Andrea Marcon che si è speso in prima persona tra società, Coni e Ministero dello Sport per riuscire a far partire questo campionato, anche quando a tutti sembrava un’impresa quasi impossibile. Magari aiutato dall’evoluzione dell’epidemia che ha consentito di allargare un po’ le maglie dei protocolli, ma sicuramente anche grazie all’ostinazione del presidente che ci ha sempre creduto.
Il secondo dato positivo è il coraggio (o la virtù derivata dalla necessità) che ha spinto le squadre di serie A1 ad accettare l’idea di giocare su 7 inning. Un passo rivoluzionario che ha già scatenato le proteste dei puristi indignati, ma che personalmente avevamo già caldeggiato in tempi non sospetti, quando questa riforma non era certo riconducibile alle ristrettezze del post-Covid. Bene hanno fatto i club (e fa piacere che lo abbiano fatto all’unanimità) a cavalcare l’idea che a livello mondiale sta portando avanti anche la WBSC di Fraccari, perché il baseball, come è successo a tutti gli sport (inutile menzionare ancora una volta i tiebreak del tennis, i round ridotti della boxe, l’eliminazione del cambio palla nel volley), ha bisogno di rinnovarsi, di provare strade nuove che vadano incontro alle esigenze delle tv e della gente che non ama più stare seduta quattro ore sui gradoni (magari anche scomodi) dei nostri stadi, per vedere partite interminabili che magari si trascinano fino all’una di notte. Agli ortodossi dei nove inning a tutti i costi, consigliamo di riguardarsi Codogno-Piacenza di sabato scorso, opening game della stagione, quattro ore e venti di partita a 32-33 gradi, cosa da far scappare anche i parenti… Pensate che se questa partita fosse stata calendarizzata regolarmente, sarebbe stata giocata tra le 11 e le 15.30 di una torrida domenica di luglio in mezzo alla pianura Padana, a cui avrebbe fatto seguito – quasi senza interruzione – il secondo incontro di altri “ortodossi” nove inning. Cose da puri masochisti… Eppure c’è ancora chi gode a vedere i nostri giocatori sul campo dalle 9 di mattina alle 7 di sera (se non oltre) solo perché il baseball vero è di 9 inning. E la cosa più assurda è che tra questi puristi ci siano anche i dirigenti della terza serie che hanno rifiutato sdegnosamente l’idea di accorciare le partite, contrariamente a quanto fatto realisticamente dalla A1 e da parte della A2. Evidentemente, più si scende di categoria e più si trovano lanciatori e roster all’altezza…
Ma qui una responsabilità precisa ce l’ha anche la FIBS che, una volta assodato che la prima serie sarebbe stata giocata su 7 riprese, non ha esteso d’ufficio la saggia decisione a tutto il resto del baseball italiano. Tenuto conto soprattutto che nelle serie minori si gioca sempre il doppio incontro e che persino le Major League (a cui fanno riferimento i nostri puristi) sta ragionando sul doubleheader da 7 inning.
Ma secondo noi la strana stagione 2020, con tutte le restrizioni dettate dal maledetto virus, poteva essere sfruttata meglio per dare veramente una svolta al panorama del baseball italiano. Ovvero, poteva essere la vera grande occasione per creare qualcosa di nuovo o quanto meno per abolire l’ormai immotivata distinzione tra serie A1 e serie A2. Perché non ha senso che da una parte ci sia una micro serie A di élite con appena 6 formazioni (di cui 5 appartenenti di fatto a una sola regione, assimilando San Marino) e dall’altro una macro serie A “popolare” con addirittura 19 formazioni al via. Sfido chiunque a trovare un altro sport in cui il rapporto tra le squadre partecipanti alla prima e alla seconda serie sia superiore a 1 a 3…
Dunque, proprio in considerazione del fatto che quest’anno ci sarebbero state parecchie defezioni, ci sarebbe stata la grande opportunità di rimescolare le carte e portare finalmente la serie di vertice su dimensioni molto più nazionali e meno esclusive. Perché, stendendo un velo sul suicidio del baseball nettunese, se non ci fossero state Godo, Collecchio e Macerata a sacrificarsi sull’altare delle tre potenze del baseball italiano, ci saremmo trovati a disputare una serie A1 a tre squadre, statene certi. Pur di non scontentare tre club, la federazione si ostina a voler difendere un campionato di super élite che non ha più nessun senso storico. Soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo. E che potremmo vivere nei prossimi anni, stretti tra crisi economica e di idee.