Questa è una storia di numeri. Di numeri che hanno fatto la Storia. Il primo è 1940, c’è la seconda guerra mondiale ed è estate a Mobile, in Alabama. Henry Aaron sta giocando con i suoi amici a baseball. Nonostante il caldo, passano tutti i giorni a lanciare e battere, sognando di essere i loro beniamini, acclamati dai tifosi. La mamma di Henry, si sbriga a raggiungerli, per dirgli di correre a casa: i cavalieri del Ku Klux Klan si aggirano per il quartiere ed è meglio sbrigarsi a nascondersi. Non è la prima volta che capita, è pericoloso essere neri nel profondo sud degli Stati Uniti ed Henry, ancora una volta, corre a nascondersi sotto il letto. Ed ancora una volta, torna a giocare appena il pericolo imminente passa.
Passiamo al 1948, Jackie Robinson, il primo giocatore nero ad avere accesso al professionismo della MLB con i Brooklyn Dodgers, è a Mobile per una partita di Spring Training e parla ai tanti ragazzi neri, spiegandogli l’importanza di questo cambiamento epocale e le possibilità che si potrebbero aprire. Robinson spiega come sia fondamentale impegnarsi per studiare ed avere una buona cultura, dedicarsi a qualcosa con passione e coltivare il talento. Questa è un’altra storia, ma il discorso lascia il segno tra i giovani presenti. Anche Henry è tra la folla, con gli occhi lucidi ed il cuore che batte di emozioni travolgenti.
Ci ritroviamo nel 1952, nella squadra di culto degli Indianapolis Clowns, che giocano una specie di baseball spettacolare (un po’ come gli Harlem Globetrotters nel basket): c’è un ragazzo che, con facilità estrema, offre prestazioni incredibili sui campi delle Negro League. I Boston Braves lo notano (non è un caso che Boston fosse il centro più attivo nella lotta per l’integrazione, ha una lunga tradizione di progressismo) e lo prendono, mandandolo a giocare, prima ad Eau Claire (nel Wisconsin), dove vince il premio come Rookie dell’anno, poi a Jacksonville.
Henry “Hank” ritorna nel profondo Sud. I tifosi gli tirano pietre ed addirittura gatti neri in campo. La odiose leggi Jim Crow vengono ancora applicate in molti posti ed Hank è spesso costretto a mangiare separato dai suoi compagni di squadra. Addirittura deve dormire in posti diversi da loro.
Facciamo un lungo salto in avanti nel tempo ed arriviamo al numero più importante di tutti: 714. Nel 1974 la guerra del Vietnam sta volgendo al termine, gli Stati Uniti sono un paese ferito dalla consapevolezza acquisita di non essere invincibili e dilaniati da scontri interni, tra movimenti pacifisti e per i diritti umani. Eppure questo numero catalizza l’attenzione di gran parte dell’opinione pubblica: 714 sono i fuoricampi battuti dal mito del baseball Babe Ruth, un record che resiste da decadi ed è considerato uno dei record più difficili da infrangere nella storia dello sport.
“Dear Nigger Henry, you are (not) going to break this record established by the great Babe Ruth if I can help it. … Whites are far more superior than jungle bunnies… My gun is watching your every black move.” Questa è una delle 930.000 lettere ricevuta da Henry Hank Aaron, mentre si avvicina a suon di fuoricampo ad infrangere il record. E non è al sola di questo genere. I figli devono essere scortati a scuola, Hank stesso soffre moltissimo questa pressione mediatica. Ma è un ragazzo del Sud, cresciuto col razzismo e non si lascia certo intimidire.
Il 4 Aprile 1974, colpisce il fuoricampo che eguaglia il record del Bambino, il tabellone lampeggia col numero fatidico 714 e la storica palla viene presa al volo, dopo un ribalzo, da un poliziotto di Cincinnati, parte del servizio d’ordine allo stadio. Il Lunedì successivo contro i Los Angeles Dodgers, il record è infranto col fuoricampo 715: la folla di 53.775 persone è in piedi per una standing ovation di 11 minuti.
Ci sarebbero ancora tanti numeri, ad esempio il numero totale di fuoricampo in carriera (755), che verrà battuto solo tanti anni dopo da Barry Bonds, anche se le ombre degli steroidi del baseball anni ‘90 non hanno permesso di avere la stessa enfasi. Ma, paradossalmente, il 715 è il numero della vita di Hank che toglie importanza a tutti gli altri numeri, sebbene le sue statistiche in carriera siano incredibili. Ciò che quel numero rappresenta è molto di più di un record infranto: è la storia di un uomo che ha sofferto sulla sua pelle episodi orribili di razzismo e non si è mai piegato. E’ il simbolo di un cambiamento epocale.
715 è stato per lo sport ciò che l’elezione di Obama ha rappresentato per la politica. Un salto in avanti della storia, rendere possibile qualcosa che sembrava non esserlo. Aaron si è battuto per i diritti civili fino alla sua morte, avvenuta qualche giorno fa. Ha creato borse di studio per i giovani neri e fondazioni benefiche.
Per capire appieno l’importanza della sua impresa, chiudo con una frase di un’altra leggenda dello sport, Mohamed Alì: “Hank Aaron è l’unico uomo che ho idolatrato più di me stesso”.