Luigi “Biro” Consonni ha lanciato l’ultimo strike. Se n’è andato questa mattina, a Lesmo (in provincia di Monza e Brianza), serenamente, nel suo letto, a 87 anni, per i postumi di un’influenza che ha dato l’ultimo colpo a un fisico ormai da anni in lotta con mille acciacchi. E con lui se n’è andato un vero monumento non solo del Milano ma di tutto il baseball italiano, perché Biro ha rappresentato per tante generazioni un punto di riferimento tra i lanciatori, probabilmente il primo vero grande rilievo del nostro baseball, dopo aver lanciato per anni tante partite complete e, nei primi campionati a doppio incontro, lanciando qualche volta persino due volte nella stessa giornata. Pochi sanno, invece, che all’inizio della carriera questo straordinario lanciatore (miglior pitcher del campionato 1965 con 1.36 di pgl, che gli è valso quella palla d’argento di cui andava orgogliosamente fiero) è stato anche un buon catcher, ruolo in cui aveva iniziato a giocare nel Monza dei primi anni Cinquanta.
Brianzolo verace, uomo di incredibile simpatia e di autoironia, Luigi Consonni era nato a Monza il 9 giugno del 1933 ed ha esordito in serie A nel ’51 con la squadra della sua città, iniziando una lunghissima carriera che l’ha visto in campo fino alla soglia dei quarant’anni, chiudendo con il Milano nel 1971, anno in cui vinse la sua terza coppa dei Campioni.
Ma perché “Biro”? Lo aveva spiegato lui stesso festeggiando il suo ottantesimo compleanno: “Mi chiamavano Biro per due motivi. Un po’ perché mio nonno, Luigi come me, lo chiamavano Birin. Ma soprattutto perché da ragazzino tenevo la testa con i capelli neri rasati cortissimi e dicevano che sembrava la capocchia delle penne biro, che erano appena arrivate in Italia. Così hanno cominciato a chiamarmi Biro e lo sono rimasto per sempre”. Fino a oggi, fino alle ultime telefonate che ha ricevuto dagli ex compagni di squadra nei giorni scorsi, perché Consonni è sempre rimasto nel cuore di quelli che l’avevano conosciuto e frequentato, di quelli che hanno avuto la fortuna di giocare con lui.
Dal punto di vista sportivo Biro Consonni è stato un signor giocatore: uno dei primi storici pitcher degli anni Cinquanta, con Glorioso, Lachi, Tagliaboschi, insomma i capostipiti della tradizione italiana. Dopo gli inizi nel Monza, ha giocato una prima volta nel Milano nel ’54, poi è passato all’Inter, al Pirelli, un anno anche alla Roma, ancora al Pirelli, di cui è stato un leader nei primi anni Sessanta, e infine, dal ’65 al ’71 ancora al Milano con 140 partite giocate in rossoblù alla bella media di 1.83 di pgl in 579 riprese lanciate, un dato di valore straordinario. Ma Consonni, in generale, è anche il quinto lanciatore assoluto del nostro campionato per media pgl vita (1,71) dietro soltanto a tre americani, Gioia, Miele e Olsen, oltre ad Alfredo Lauri. E, nonostante la sua specializzazione delle ultime stagioni nel ruolo di rilievo, è anche l’ottavo della storia della serie A per partite complete (97). Nel Milano, invece, è il quinto per partite vinte (52), dietro Piazzi, Passarotto, Folli e Braga, e il 7° per inning lanciati. Per un palmares personale che parla di 4 scudetti (’66-67-68 e ’70) oltre a una coppa Italia e tre coppe dei Campioni. In Nazionale invece conta 7 presenze con la partecipazione a quattro campionati europei.
Ma, al di là delle cifre e delle statistiche, Biro Consonni è stato un personaggio leggendario per il suo modo di interpretare il ruolo. Lanciatore di grande abilità e straordinario controllo: diceva Giancarlo Mangini che Consonni giocava a baseball come giocava a biliardo, altra specialità di cui è stato un altrettanto abile interprete arrivando ad essere vicecampione italiano. I suoi lanci lenti, quando arrivavano a chiudere le partite dietro pitcher più veloci come Paschetto, Silva o Monelli, mettevano in crisi tutti i battitori. Difficile vedere grandi battute contro Consonni, anche se lui, sempre con autoironia, riconosceva di avere il record di primo lanciatore a subire un homer in campionato sulle lunghe distanze del Kennedy, ad opera del bolognese Sarti. Ma di Biro si ricordano soprattutto le grandi salvezze in tante partite chiave del campionato, tra cui gli piaceva ricordare i duelli con i grandi battitori del Nettuno, in quello che negli anni Sessanta era il “derby d’Italia” del baseball.
Per prenderlo in giro nel Milano dicevano: “Lancia Biro, c’è gloria per tutti…”, perché Consonni non era certamente pitcher da strike-out ma sapeva sfruttare al massimo la grande difesa che aveva alle spalle. Ma è vero anche che l’Europhon di Cameroni si era specializzata a vincere nelle ultime riprese proprio poggiandosi sulla precisione dei lanci del Biro. Che comunque, al di là del fisico lontano dai canoni atletici dei lanciatori moderni, era un signor pitcher e soprattutto uno che non mollava mai, trascinando e dando sicurezza a tutta la squadra.
E anche nella vita, come sul monte di lancio, Biro non ha mai mollato: nonostante i tanti problemi di salute, che negli ultimi anni l’hanno costretto a girare con la bombola dell’ossigeno appresso, non si è mai tirato indietro. Finchè ha potuto c’è stato, con l’ultima uscita ufficiale nel 2015 in occasione del centesimo derby di Milano: si giocava United-Bollate a Senago e Biro si presentò in campo, assieme a tutti gli altri protagonisti di quarantacinque anni di baseball milanese, tirandosi dietro l’imprescindibile bombola, ma facendosi carico anche del primo lancio dell’incontro assieme agli altri protagonisti del primo derby. In quella sua presenza, nonostante i problemi fisici, c’era tutto il suo amore per il Milano e per il baseball che, diceva, “è stato la grande passione della mia vita”. Tanto che ricordava, con una straordinaria memoria, situazioni di gioco, punteggi, formazioni e date di sessant’anni fa.