Alla presentazione delle gare di baseball dei Columbus Games 1992, che si sarebbero giocate a Parma, chiesi al rappresentante dei tecnici cubani in Italia, un quarantenne dall’aspetto dimesso, chi erano i giocatori di maggior prospettiva della Nazionale del suo Paese. Cuba era allora assoluta dominatrice a livello internazionale. “Te gustan, los fenomenos?”, rilanciò lui. Il quarantenne dall’aspetto dimesso era Higinio Velez.
Il coordinatore dei tecnici cubani in servizio in Italia era evidentemente molto vicino al presidente FIBS Aldo Notari. Qualcuno, con la malignità così tipica del nostro mondo, mi aveva sussurrato in un orecchio “stai attento, quel cubano lì è la spia di Notari”. Non avendo in mente cose che mi potessero sfuggire e che non avevo già detto direttamente al mega presidente, non me ne curai più di tanto.
Nella stagione 1995 Higinio divenne l’allenatore del Parma e lo guidò allo scudetto e alla Coppa Campioni. L’impresa non sarebbe riuscita più a nessuno. Naturalmente Velez non era preparatissimo a cosa vuol dire allenare una squadra in Italia. Ci sono certamente meno tifosi rispetto al baseball che conosceva lui. Ma ci sono anche molti più (sedicenti) esperti che si sentono in dovere di analizzare tutte le decisioni di un tecnico. Uno di quegli esperti ero io, ovviamente. Radiocronista di Onda Emilia, prima firma del quotidiano La Tribuna di Parma (impresa fallimentare, ma durò in edicola a sufficienza per celebrare i successi di Velez), ebbi a che fare con Higinio su base quotidiana.
Velez tornò poi in patria. Vinse 3 volte consecutive (1999-2001) il campionato dell’isola con la squadra di Santiago. Venne nominato manager della Nazionale dopo che Cuba perse la finale dei Giochi di Sydney (2000) contro gli USA. Vinse nel 2001 il Mondiale di Taiwan, il primo con in campo i professionisti.
Quel Mondiale, che seguii per Baseball.it, resta uno dei ricordi più piacevoli della mia vita professionale. Forse qualcuno penserà che stia esagerando, ma la mia copertura del Mondiale di Taiwan fu il primo caso di un giornalista “non embedded” (non invitato dalla FIBS) che scrisse regolarmente dell’Italia a un Mondiale.
Leggo dal Diario che scrissi appunto per Baseball.it: “Poco prima di presentarsi in sala stampa per il dopo partita della gara con il Canada, il manager di Cuba Higino Velez mi si è avvicinato e mi ha abbracciato, esclamando un clamoroso: Schiroli, fratello… Siamo in buoni rapporti, tutto qui. Per i cinesi, però, io sono un giornalista celebre a livello mondiale. E lo resterò. Il secondo colpo d’immagine l’ho realizzato quando il Presidente dell’IBA (di lì a poco, IBAF) Aldo Notari ha interrotto un colloquio di lavoro per salutarmi e darmi il suo numero di cellulare taiwanese…“.
Cuba vinse quel Mondiale. E la carriera di manager della Nazionale proseguì per Velez a suon di trionfi. Di Mondiali, ne vinse altri 2 (2003, 2005). Vinse anche le Olimpiadi del 2004 ad Atene. Portò Cuba in finale al World Baseball Classic 2006. Al Classic Cuba aveva sorpreso tutti, compreso me.
Leggo da una delle Cartoline, che scrissi per FIBS.it: “Pur avendo, negli ultimi 4 anni, visto più partite di baseball internazionale di chiunque altro (dico in Italia…), io ero fermamente convinto che Cuba avrebbe fatto fatica ad andare oltre la prima fase. Avevo insomma sottovalutato il livello della seleccion, pur conoscendo i giocatori ad uno ad uno piuttosto bene… Per Cuba vincere è l’unica alternativa, sempre. E questo, alla fine, fa la differenza.”
In questo mio giudizio si condensa tutta l’essenza dell’Higinio Velez tecnico. Parliamo di un vincente. Non c’è altro da aggiungere. Velez sarebbe di lì a poco uscito dal campo per continuare a vincere come dirigente. Avrebbe scalato tutte le posizioni, fino a diventare Presidente della Federazione.
Il suo capolavoro sarebbe stato l’accordo firmato con la MLB a dicembre 2018 per consentire ai giocatori cubani di arrivare in Grande Lega in modo legale. Dico sarebbe, perché l’Amministrazione Trump quell’accordo lo fece poi saltare.
Higinio era un uomo di grande intelligenza. Certo, era anche un uomo che aveva completato la sua formazione nella Cuba della Rivoluzione e che aveva costruito la sua carriera sotto la supervisione dell’Istituto Nazionale dello Sport (INDER), quindi del partito comunista di Fidel Castro. A chi gli chiedeva conto delle storture dell’isola, arrivava al massimo a dire: “A Cuba ci sono molte cose buone e alcune cose non buone”.
Io e lui abbiamo sempre e solo parlato di baseball. Lo consideravo un amico. E mi mancherà.