Nel corso degli anni ho imparato ad apprezzare i voli aerei intercontinentali. Ovviamente, serve la premessa di un posto comodo. Risolto quello, le ore a 10.000 metri non sono poi tanto male. Si legge, si sonnecchia, si guardano film che al cinema non si andrebbero mai a vedere.
Il 20 settembre 2021 all’aeroporto milanese di Linate la guardia giurata addetta ai controlli di sicurezza mi ha guardato quasi con compatimento: “Il laptop non va più tolto dalla borsa. Abbiamo una macchina specifica, adesso”.
Il viaggio in Messico per seguire per conto della WBSC il Mondiale U-23 di baseball era il primo che facevo dal novembre del 2019. Il 20 settembre erano ormai passati 22 mesi da quando sono rientrato dal Premier12, alla fine di un 2019 che era stato anche un po’ folle da quel punto di vista: Stati Uniti, Corea, ancora Corea, Giappone. Il tutto tra agosto e ottobre.
Il 2019 sembra un’altra era. Allora per organizzare un viaggio mi sedevo nel mio studio il giorno che precedeva la partenza, carta e penna, e iniziavo a scrivere cosa non dovevo assolutamente dimenticarmi. O a spuntare la lista delle cose che mi ero dimenticato partendo per il viaggio precedente. Dal cronista itinerante originario, battezzato per Baseball.it a inizio millennio, a livello di organizzazione di strada ne ho fatta, in un ventennio scarso.
Nel 2021 è tutto diverso. Se si vuol partire, è necessario mettersi in pista con giorni d’anticipo. Il momento clou è prenotare un tampone molecolare. A Parma ci sono laboratori efficientissimi che vi consegnano il risultato in poche ore. O addirittura al momento (prezzo amico: dagli 80 ai 100 euro).
Il tampone negativo è la chiave per essere ammesso alla bolla WBSC. Visto che comunque durante il viaggio siamo entrati in contatto con qualcuno, all’arrivo si viene sottoposti a un test antigenico. Se tutto va bene, si viene dotati di braccialetto verde. Un altro test antigenico di routine è previsto a metà permanenza. Se si cambia sede (come è successo a me, da Ciudad Obregon a Hermosillo), se ne fa uno ulteriore prima di viaggiare. Prima della partenza è previsto un nuovo test molecolare. Ho fatto più tamponi dal 18 settembre al 1° ottobre, insomma, che in tutto il resto della mia vita con il COVID.
Mentre mi aggiravo per gli aeroporti di Parigi e Città del Messico alla ricerca delle mie connessioni, pensavo che in fondo la vita a un torneo WBSC non sarebbe stata troppo diversa, in tempi di COVID. In fondo, siamo sempre stati in una bolla: albergo, pulmino o taxi per lo stadio, partite, pulmino o taxi per l’albergo, giorno di riposo cancellato dalla pioggia.
Il giorno di riposo cancellato per la pioggia, immancabile, c’è stato anche quest’anno. Siamo nel deserto, ha detto qualcuno durante una delle innumerevoli riunioni virtuali via Zoom, capirai se piove.
Il deserto di Sonora (Sonora è lo Stato del cartello omonimo, ma la bolla ci ha protetti anche dai potenziali brutti incontri…) è in realtà verde. E a volte piove. Il 23 settembre, almeno, è piovuto. E anche piuttosto forte. Cuba e Repubblica Dominicana hanno visto rinviare la loro partita. Il Messico doveva giocare a tutti i costi con la Repubblica Ceca. E ha giocato e perso.
Gran bella squadra, la Repubblica Ceca, mi sono detto quella sera. E molto competente il manager Chloup, che è un piacere intervistare. Soprattutto quando vince. Dopo che ha iniziato a perdere, si è fatto meno ciarliero. Niente a cui io non sia abituato, per carità. Così come al fatto che il giocatore di baseball europeo è in linea di massima permaloso.
Lou Helmig, classe 2003, è figlio e nipote di giocatori di baseball. Il papà ha anche giocato ad Anzio negli anni ’80. La Germania ha perso la seconda partita del girone 8-4 con la Repubblica Dominicana. Helmig ha battuto una delle 2 valide dei suoi, un fuoricampo da 3 punti. Dice il cronista: “Lou, nonostante una giornata di poco successo della Germania tu hai battuto un fuoricampo. Immagino sia una bella soddisfazione”. Risponde il virgulto: “Beh, cosa intendi dire? Che siamo scarsi”.
La Germania ha battuto la Repubblica Ceca. E’ stata la sua unica vittoria. La Repubblica Ceca si è fermata all’impresa con il Messico. Si sono piazzate undicesima e dodicesima. “Pensavamo di essere più forti della Germania”, mi ha detto Vojtech Mensik, interbase e terza base boemo che ha appena firmato per i Los Angeles Angels. “Abbiamo fatto errori e li abbiamo pagati”.
Quando ha giocato con la Germania, la Repubblica Ceca pensava ancora di potersi qualificare per il super round. Sarebbe stato un risultato storico, vedere un’europea nelle prime sei di un Mondiale. Ma non sarebbe stato comunque un risultato rispondente ai valori agonistici del torneo. Non ai valori tecnici, si badi bene. Sia la Repubblica Ceca che la Germania si sono rivelate plausibili, come individualità. Semplicemente, sono formate da giocatori non abituati a giocare a un certo livello con continuità. Possono, insomma, fare l’impresa. Ma che possano reggere ad alto livello un intero torneo al momento è abbastanza improbabile.
Vivere nella bolla non è stato facilissimo. Non eravamo nemmeno autorizzati ad andare ai bar e ristoranti dello stadio. Al limite, potevamo chiedere allo staff locale di ordinarci la roba e portarcela nelle nostre postazioni, tutte rigorosamente frequentate da braccialetti verdi. Devo ammettere che quando sono arrivato all’aeroporto di Parigi il 4 ottobre, sono andato deciso al Caviar Bar e ho ordinato un bicchiere di champagne. Ho messo mano al portafogli volentieri. E’ stato un gesto liberatorio.
Il Mondiale U-23 su 7 inning, come dice il manager del Messico ‘El Che’ Reyes, “è qualcosa di diverso dal baseball a cui sono abituato, qualcosa di inusuale”. In effetti, giocando su 7 inning, si torna a un baseball più simile a quello con il quale siamo cresciuti. Il partente ne lancia 6, magari 5. I rilievi non sono così importanti come nel baseball professionistico di oggi. I più bravi, alla fine, sono quelli che vincono. Però finire in svantaggio è molto più pericoloso. Lo spazio per recuperare è inferiore di 6 out. Mica pochi.
Dicevo che i più bravi vincono. E in effetti i più bravi li aveva il Venezuela, allenato da ‘El Almirante’ Garcia, che da giocatore è stato una leggenda. Il Venezuela ha avuto ben 6 giocatori sopra media .350 in battuta, con Antonio Pinero (interbase di Singolo A dei Milwaukee Brewers) che ha chiuso addirittura a .409 (includendo anche una serie di numeri difensivi). Robert Perez (classe 2000) ha chiuso a media .387, con 2 fuoricampo e 6 punti battuti a casa. Il papà, che si chiama come lui, è nato nel 1969 e ha giocato in MLB, NPB e KBO, sarà certamente orgoglioso.
Il Messico era una squadra eccellente, ma non ha giocato bene in difesa nelle 2 partite contro il Venezuela, inclusa la finale.
Come dice ‘El Che’: “Il baseball è così, si vince e si perde”. E avevo voglia di aggiungere che a volte piove, ma il mio spagnolo non mi consente di fare lo spiritoso.
Alla riunione per la scelta dell’MVP sono stato battuto. Io sono convinto che in un torneo breve l’MVP debba essere un giocatore della squadra che vince. La maggioranza era per Gustavo Campero della Colombia. Che è un MVP legittimo, sia chiaro: media .519, un fuoricampo, 8 punti battuti a casa. E’ stato il vero trascinatore della squadra che si è piazzata terza.
Adesso che sono a Parma in quarantena (10 giorni imposti a chiunque rientri dal Messico, vaccinato o negativo a tutti i tamponi possibili), posso confessare che le mie squadre preferite erano la giovanissima Taiwan, che aveva in rosa lo spettacolare sottomarino Yu-hung Chen, 0 punti guadagnati in 12 riprese, e Cuba, che è arrivata quarta con soli 17 giocatori, 7 lanciatori, in rosa. Quella di Cuba è una tragedia. Chi specula sul (legittimo) desiderio dei suoi giocatori di inseguire un sogno invece è un criminale.