Iniziò con la partita inaugurale da tutto esaurito (anche perché non si pagava l’ingresso) la storia dell’allora Stadio Comunale di Nettuno, successivamente intitolato alla memoria del Principe Steno Borghese. Personaggio cardine e cruciale della storia della cittadina tirrenica (non solo in ambito sportivo) e anche della storia del baseball italiano stesso.
Quello attuale è il terzo diamante in ordine di tempo che Nettuno ha avuto. Il primo, quello storico e dei tempi pioneristici, proprio a Villa Borghese (lungo la strada che porta ad Anzio) e di cui rimangono peraltro anche alcune tracce visibili delle tribune. Costruito subito dopo lo sbarco alleato del 1944 dagli stessi giocatori, luogo “mistico” per gli amanti del batti e corri italiano e per certi versi persino mitologico, ospitò il grande Nettuno dei 9 Uomini D’Oro, quello degli “invincibili“, ma anche la famosa sfida tra Carlo Tagliaboschi e Joe Di Maggio, terminata col fuoriclasse americano (già ritiratosi dalle scene da qualche anno ed in vacanza a Roma) che spedì una serie di palline direttamente in mare. Distante non poco dal piatto di casabase. Perlomeno così racconta la leggenda…
Nel 1963, con il campo di Villa Borghese divenuto nel frattempo troppo piccolo per il livello crescente del gioco in Italia, arrivò il tempo di trasferirsi. Fu scelta la sede di Via Cisterna (oggi via Scipione Borghese), accanto allo stadio di calcio con il quale divideva il fabbricato degli spogliatoi situato nella zona dell’esterno destro. Il Comunale fu uno dei primissimi impianti dedicati esclusivamente al baseball in Italia. Negli anni venne allargata la capienza con un’alta tribuna sul lato della prima base, che si aggiungeva alla scarna fila di gradinate intorno al diamante, ma anche questo impianto nel corso degli anni si rivelò piccolo a livello proprio di dimensioni del campo esterno.
Una delle soluzioni fu alzare la recinzione, ma con i bastoni di alluminio rimaneva comunque relativamente “agevole” battere un fuoricampo. Anche la capienza delle tribune si stava rivelando stretta ad un Nettuno che stava per aprire il suo magico ciclo degli anni ’90. La finale del 1988 contro il Rimini infatti fu giocata al comunale di Anzio, ma già da qualche anno si parlava insistentemente di un nuovo stadio.
La spinta arrivò dal consiglio comunale di allora, presieduto dallo storico sindaco Antonio Simeoni, e la decisione presa a metà degli anni ’80 fu varata praticamente all’unanimità dall’assise. Maggioranza od opposizione che fosse, quando c’era di mezzo il baseball a Nettuno le fedi e le idee politiche andavano a farsi benedire senza troppi complimenti. Per finanziare l’opera, dal costo di qualche miliardo di lire, si attinse anche ai fondi per l’impiantistica sportiva stanziati per Italia ’90, oltre che al Credito Sportivo.
Ci volle però ancora qualche anno per vedere nascere il nuovo stadio. Nel frattempo il tricolore mancava a Nettuno dal 1973, di anni ne erano passati tanti ma finalmente nel 1990 si diede inizio all’opera con la demolizione del vecchio Comunale. Il Nettuno giocò il suo campionato ancora ad Anzio, sponsorizzato dalla Scac che fu poi anche l’azienda (di Milano) che lo realizzò materialmente. Fu l’anno del ritorno alla vittoria dello scudetto, e archiviato quel successo tutto era pronto per la grande inaugurazione. Molti appassionati passando di lì si fermavano a verificare lo stato di avanzamento dei lavori ed a parlare con gli operai, che pazientemente spiegavano cosa stesse nascendo ed i dettagli di uno stadio che comunque, sino a quel momento, era ancora un disegno su carta. Nell’estate del 1991, giusto qualche giorno dopo la vittoria della Coppa dei Campioni a Parigi, fu steso il manto erboso e l’impianto era ormai bello che pronto.
Nettuno avrebbe ospitato l’Europeo del 1991, primo di una grande serie di eventi, nella quale serie finale la nazionale italiana guidata da Silvano Ambrosioni travolse lasciando a zero l’Olanda. Ma a precedere quegli incontri internazionali fu la primissima partita, giocata dal Nettuno campione d’Italia in carica contro la Mediolanum Milano, come detto da tutto esaurito visto che fu concesso l’ingresso gratuito e nessuno in città volle mancare a quell’appuntamento.
Il Comunale si presentava in effetti come un impianto avveniristico per il baseball italiano, e condivideva con il vecchio Europeo di Parma il titolo di stadio più bello del campionato. Il piatto di casa base fu spostato dove c’era prima l’esterno sinistro, in modo che la gradinata desse le spalle alla strada. Le dimensioni sono di 100 metri ai due esterni, e di 120 metri al centro.
Il lavoro della Scac fu meticoloso e l’ingegner Elmi, che curò il progetto, prese spunto anche da alcuni stadi di leghe minori americane. Sicuramente presentava delle novità rispetto a quanto si era abituati a vedere in Italia e anche in Europa. Innanzitutto la tribuna totalmente coperta nella sua parte centrale, dove c’erano anche i seggiolini, quindi sotto le gradinate laterali bullpen e gabbie di battuta, e gli spogliatoi dietro ciascun dugout. Capienza di oltre 7.000 posti a sedere, con sale e uffici situati sotto la gradinata centrale e la tribuna stampa posta in alto. Modernissime anche le attrezzature elettroniche di cui venne dotato, ad iniziare dal tabellone passando per l’illuminazione artificiale (che letteralmente “faceva giorno”) sino all’impianto di amplificazione e a quello di irrigazione, totalmente automatizzato.
Ed a proposito dell’impianto luci, la successiva capillare urbanizzazione delle aree adiacenti lo stadio (fu edificata praticamente un’altra città a poche centinaia di metri) creò ad un certo punto non pochi problemi di tenuta della tensione dell’elettricità, in particolare in estate, considerate le tante utenze collegate contemporaneamente. Capitava spesso che saltasse la luce nel bel mezzo della partita (con non pochi sospetti da parte delle squadre avversarie, questo va detto…) e per riaccendere tutto ci volevano almeno 15 minuti. Problema che fu risolto in seguito con un potenziamento della stessa rete elettrica.
Scintillante nei primi anni di vita, lo stadio intanto intitolato a furor di popolo a Steno Borghese oltre ad ospitare le partite casalinghe del Nettuno (che negli anni ’90 vinse praticamente tutto quello che c’era da vincere) vide anche la finale del mondiale del 1998, con la vittoria per 7 a 1 di Cuba sulla Corea del Sud. Altro mondiale nel 2009, con la finale che si sarebbe dovuta disputare inizialmente a Roma ma poi fu dirottata proprio in riva al Tirreno, e con il successo per 10 a 5 degli Stati Uniti su Cuba. Furono solo alcuni dei tanti eventi internazionali che questo impianto ospitò, compresi due tornei preolimpici. A livello più strettamente locale, l’unico tricolore vinto davanti al proprio pubblico da parte del Nettuno fu quello del 1998, visto che dopo il trasferimento nel nuovo stadio in quelli del ’93 (Rimini), ’96 (Parma) e 2001 (ancora Rimini) la vittoria nella partita decisiva arrivò in trasferta.
Ristrutturato in almeno due occasioni, e con altri interventi previsti anche a breve, lo Steno oggi invece sente il peso degli anni, per certi versi collegato alle tristi vicissitudini in seno al movimento nettunese. Si parlava anche della creazione del museo del baseball italiano nelle sue sale, ma oggi la situazione è che le gradinate laterali sono da tempo inagibili con la capienza ridotta a meno della metà, mentre una tempesta qualche anno fa ha spazzato via gli infissi della tribuna stampa, rimasta praticamente all’addiaccio da allora. In mezzo c’è stato anche un campionato in cui le due formazioni di Nettuno iscritte alla massima serie furono costrette ad emigrare all’Acquacetosa di Roma. Senza dimenticare che per anni il terreno di gioco veniva letteralmente abbandonato durante l’inverno, con precipitosi interventi riparatori proprio alla vigilia dell’inizio della stagione. Destino quasi identico a quello del Celestino Masin, lo stadio di calcio, che nonostante gli inopportuni proclama e foto degli amministratori locali che si sono succeduti e si erano detti pronti a risolvere la situazione, versa in uno stato di totale e irreparabile abbandono.
Tornerà a splendere lo Steno Borghese? Certe serate da tribune piene a Nettuno le rimpiangono ancora in tanti, ma vale la pena ricordare tre cose per chiudere. La prima riguarda le migliori due giocate di sempre di un giocatore in questo stadio nello stesso incontro. Autore Jessie Reid, idolo dei tifosi che ad inizio anni ’90 in una meravigliosa amichevole del Nettuno contro Cuba (interrotta per pioggia e poi ripresa) prima tolse un fuoricampo a destra estendendo la presa oltre la recinzione, e poco dopo sempre a destra (ma oltre la tribuna del campo di calcio) si rese autore di gigantesco home run rimasto giustamente nella storia.
La seconda è una sorta di “divisione ideologica” di due dei settori dello stadio. Dalle gradinate laterali, seppur più lontani dal campo, si vedeva il gioco senza la rete di protezione davanti. Tendenzialmente gli appassionati che si definivano “tecnici” (e notoriamente ultracritici) si sedevano sul lato della terza base, gli appassionati più “sanguigni” insieme a tantissimi ex giocatori del Nettuno su quello della prima base.
L’ultima, consentitecelo, è un omaggio allo storico custode del campo, ormai in pensione ma sempre lì. Giuliano Salvatori, meglio conosciuto come Buchele, dello Steno dei bei tempi conosceva ogni filo d’erba. Se per anni il campo è stato un biliardo lo si deve anche e soprattutto a lui.