L’anno 2023, andandosene definitivamente, nel suo ultimo giorno ha privato Nettuno di uno dei suoi grandi campioni. Non di quelli appariscenti o sopra le righe, ma di quelli che rubava contemporaneamente l’occhio e il cuore. Alfredo Lauri è stato uno di quei giocatori che, in tutto e per tutto, ha incarnato lo spirito nettunese per antonomasia.
Si sa che le schede vita riassumono una carriera, e lo fanno molto bene. Nato nel 1935, ha militato col Nettuno per 24 stagioni consecutive. Esordio nel 1954, ultima apparizione nel 1978, con un palmares personale di otto titoli italiani: 1954, 1956, 1957, 1963, 1964, 1965, 1971 (quello della Stella d’Oro) e 1973. Che poi per l’annosa questione del Torneo d’Oro del 1958 diventerebbero anche nove. Campione d’Europa nel 1965 e nel 1972, vinse anche la Coppa Italia del 1970. Per lui ci sono anche 18 presenze in nazionale, e l’ingresso nel 2012 nella Hall of Fame del baseball italiano.
Ma quello che una schede vita non riesce a trasmettere è che Alfredo Lauri è stato, senza dubbio, il più grande lanciatore mancino “dell’era di mezzo” a Nettuno. E probabilmente il più grande mancino di sempre in riva al Tirreno.
Perché quando ai vecchi tifosi si chiede di Alfredo, gli si illuminano gli occhi. Tecnica, velocità e anche scaltrezza convivevano in una miscela micidiale. Era temutissimo dagli avversari, non tanto per la sua palla veloce ma per la varietà di lanci e la precisione delle location che sapeva “cogliere”.
In epoche in cui il ruolo del rilievo non esisteva e il lanciatore doveva rimanere nove inning in pedana, Alfredo Lauri era famoso anche per rappresentare un autentico incubo per i corridori sulle basi. Mancino, aveva gli occhi direttamente puntati su quelli in prima, ma anche chi stazionava in terza sonni tranquilli non li poteva avere. In più di qualche occasione un lancio sottomano, assolutamente regolare, li coglieva fuori dal sacchetto.
Chi vi scrive avrebbe fatto in tempo a vederlo giocare ma non ha ricordi vividi, per motivi prettamente anagrafici. Ma tanti e piacevolissimi negli anni successivi. Lo si incontrava sempre al campo, presenza discreta ma fattiva nel Nettuno degli anni ’90. A oltre 60 anni, quasi alla soglia dei 70, saliva in pedana e lanciava per il batting practice di tutta la squadra senza fare letteralmente una piega. Lo si vedeva sempre al fianco di Giampiero Faraone, amici da una vita e anche oltre. Due parole tra di loro e statene certi tutto diventava più chiaro.
E piacevolissime, ovviamente, anche le meravigliose chiacchierate che quando capitava ci concedeva, nonostante i 40 anni esatti di differenza. I ricordi dei “Nettuno” che non siamo riusciti a vedere vivevano dai suoi racconti. Mentre la partita andava avanti, e lui come sempre anticipava quello che sarebbe successo di lì a poco. Perché il campione sa sempre tutto un po’ prima degli altri.
Nel momento di passare il testimone, è come se l’avesse diviso tra altri due mancini. Uno era Claudio Taglienti, l’altro Massimiliano Masin. E in tutti e due c’è qualcosa di Alfredo Lauri che poi è rivissuto in campo,
Campione non appariscente, ve l’avevamo detto. Insieme al fratello Enzo, altro lanciatore e altro campione del Nettuno di quegli anni, costruiva case. Tra i più rinomati muratori della zona, richiestissimi e considerati autentici artisti. Durante il giorno si lavorava, come sempre, poi ci si andava ad allenare, o a giocare, o si partiva per farlo. Niente grilli per la testa, e Dio solo sa quanti giocatori avrebbero dovuto prendere esempio, o dovrebbero farlo oggi, da Alfredo Lauri. In una Nettuno che oggi fa fatica a metter su una squadra (non due, una…) minimamente competitiva.
Niente atteggiamenti da “fenomeni” soprattutto quando non lo si è. Solo “legacy“, senso di appartenenza ai colori del Nettuno. Ci disse una volta: “Tanto, se sei forte lo devi dimostrare lì”, indicando il campo. Le parole servono a poco, e Alfredo effettivamente ne diceva poche. Ma quelle poche, accidenti se contavano..