Nettuno piange uno dei suoi giocatori più rappresentativi degli anni ’90. Si è spento a 59 anni e dopo una lunga battaglia contro un male incurabile Marco Ubani. Classe ‘65 e indiscutibilmente uno dei più forti esterni sinistri della storia del baseball italiano.
Lottatore in campo e fuori, è stato per anni uno degli elementi cardine di quel Nettuno che vinse praticamente tutto quello che c’era da vincere in Italia e in Europa. Oltre che punto fermo della nazionale italiana per tantissimi anni, anche alle Olimpiadi.
La sua carriera iniziò nel lontanissimo 1981 e proseguita sino al 2001, quando dopo la vittoria dello scudetto, il quinto della sua carriera, decise di appendere definitivamente il guantone al chiodo. L’anno dopo, alla prima partita in casa della Caffé Danesi Nettuno con lo scudetto sul petto, venne ritirata la sua maglia, la 11, insieme alla 30 di Giampiero Faraone.
I numeri della carriera di Marco Ubani sono quelli di un fuoriclasse assoluto. Le statistiche parlano di 790 partite giocate, 3.431 presenze totali nel box, 2.916 AB, 642 punti segnati, 933 valide e una media battuta vita di 320, condita da 52 fuoricampo. Soprannominato “Martello” per le sue doti appunto nel box, ma anche “Gordon” per via dei suoi capelli biondi e della sua espressione solo apparentemente glaciale, in campo era l’archetipo del giocatore perfetto. Atletico, veloce di gambe, preciso col braccio, sempre concentrato. Soprattutto una persona garbata, mai una parola fuori posto, riservato e lontano dai riflettori. Oltre che grande appassionato di musica.
In questo momento lasciamo la parola a quello che per tanti anni, sin dalle giovanili, è stato il suo scudiero di sempre. Compagno di squadra, di stanza, amico per la vita, Roberto De Franceschi.
“Io primo in battuta, lui secondo, sempre così per tanti anni, anche in nazionale. Sempre compagni di stanza in trasferta, vicini anche in campo visto che giocavo esterno centro e lui a sinistra. Mi viene difficile trovare le parole per descriverlo. Un giocatore incredibile, una persona di una umanità rara, di un garbo e di una simpatia fuori dal comune”. E poi le parole si rompono dall’emozione, come probabilmente è comprensibile.
Marco Ubani ha lottato come un leone, come era sua abitudine, contro un brutto male. Nelle ultimissime settimane sembrava che le sue condizioni fossero in miglioramento, poi stamane la tragica notizia. Lascia la moglie Piera e i figli Federico e Gian Marco. E ai tifosi appassionati del “vecchio gioco” un vuoto incolmabile, perché in fondo è un pezzo di un grande Nettuno che se ne va.
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Per una concatenazione fin troppo strana di eventi ho sempre indossato il numero 11 di maglia negli sport che ho praticato. Inizialmente sembrava un caso, però se non altro era lo stesso di Dino Meneghin che ammiravo molto.
Poi, quando avevo 12 o 13 anni, questo giocatore di cui già ne ammiravo molto le gesta (parliamo del 1988 o 1989, non ricordo proprio con precisione) si rese autore di una prestazione “monstre” contro un formidabile lanciatore di nome Rick Waits del Rimini, autentico spauracchio dei lineup di tutto il campionato, che quel giorno letteralmente non sapeva più cosa lanciargli. Sei valide in sette turni, o sette su otto (perdonatemi, ne sono passati di anni…). Lì iniziarono a chiamarlo “Martello”, e Marco Ubani diventò uno dei miei idoli di quel Nettuno che, sì, di soddisfazioni me ne ha date tante. Da lì non fu più un caso. Cercavo e ottenevo la casacca numero 11.
Autunno 1996: il Nettuno a Parma vinse garasei di finale e quindi il campionato. Interviste dentro gli spogliatoi, tra un chiasso indicibile riuscii a tirare fuori anche le parole gioiose ma sempre misurate di Marco Ubani. Vidi il polsino col numero 11, di colore azzurro come la divisa della nazionale. Il giovane cronista di allora tornò per un secondo bambino. Di fronte a uno dei suoi idoli si fece coraggio e glielo chiese in regalo. Mi ritornò un sorriso grosso come una casa, Marco se lo sfilò, e da allora è a casa mia a Nettuno conservato nell’armadio come una reliquia. (mauro #11)
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