Mike Romano finalmente nella “Hall of Fame”

Doveva entrare nel 2021 come recita la targa, ma il suo ingresso è arrivato 4 anni dopo, E ripercorre la sua carriera

Mike Romano riceve la targa della "Hall of Fame" dal presidente federale Marco Mazzieri alla Convention di Rimini

Se diciamo Mike Fabbri non avremo risposta, se diciamo Patrick Cardinali, gli appassionati di baseball più datati potrebbero rispondere “ah beh, forse sì”. Ma se diciamo Mike Romano, allora tutti alzano la mano. Perché la storia del “baffo” più famoso dei diamanti, di “Mike palla di fuoco” ha mille sfaccettature, sarebbe curioso scrivere una storia più che un articolo. Ma il recente ingresso di Mike Romano nella “Hall of Fame” del nostro batti e corri, ci consente di ripercorrerla questa carriera, iniziata oltre 50 anni fa. Il 20enne americano nato in Gran Bretagna, per l’esattezza Swindon, arrivò in Italia, per l’esattezza Rimini (doveva andare a Firenze ma questa è un’altra storia) nel 1973.

Erano i tempi in cui si cercavano giocatori stranieri col cognome italiano e in barba ai problemi sorti col passaporto, il ragazzotto doveva giocare perchè tirava delle fiamme dal monte di lancio. Così si pensò a Mike Fabbri, cognome scontato, quindi la dirigenza riminese virò su Patrick Cardinali. E al signor Cardinali sono legate alcune prestazioni memorabili sul monte nel ’73: i 29 strike-out in una partita da 18 inning (dopo averne giocati nove in garauno come interbase), i 21 kappa in una da 9 riprese. Perchè Mike saliva in pedana e sparava più forte possibile. “Il monte di lancio è la gloria della partita, il 70-75% di partite le vincono i lanciatori, in quegli anni i line-up erano imbottiti di fortissimi battitori, non si poteva scherzare. A un certo punto è un po’ calata la velocità e mi sono dovuto inventare altri lanci, fino a quando ha retto il braccio mi sono divertito”.

Già, perché la vera carriera di Mike-pitcher dura realmente fino al 1983, poi nell’84 i primi problemi fisici che ne consigliano di scendere dalla pedana. Non definitivamente, perchè ci fu anche un clamoroso ritorno: finale scudetto 1998 a Nettuno, Romano sale sul monte in garauno visto che i Pirati che allenava, avevano perso il pitcher straniero per squalifica. La sua partita durò pochissimo, ma fu comunque emozionante ritrovarlo sulla collinetta che l’ha reso famoso. Ah, è bene ricordare che per una regola alquanto bizzarra, per qualche anno Mike giocò da straniero sul monte e da italiano nelle altre situazioni della partita. Comunque ha chiuso con 174 vittorie, 1335 strike-out e una media pgl di 2.25 oltre a una no-hit.

Poi sette scudetti (quest’anno a Rimini si festeggia il 50° anniversario del primo tricolore) e tre coppe Campioni da giocatore, tre da manager, tutti con i Pirati di Rino Zangheri (al quale è stato legato per 40 anni), oltre a qualche titolo Europeo con la nazionale e la partecipazione alle Olimpiadi di Los Angeles. Quindi “Hall of Fame” strameritata. In realtà nella targa si legge “gennaio 2021”. “Infatti l’aspettavo da quattro anni, per una serie di vicissitudini non me l’avevano ancora consegnata, finalmente sono salito su quel palco”. Dove non è riuscito a trattenere l’emozione quando ha ricevuto il premio da Marco Mazzieri. “Mi sono ricordato anche quando giocavo contro di lui, quando andava in battuta era uno poco simpatico”.

A proposito, quali sono stati i battitori più difficili da affrontare. “Su tutti Giorgio Castelliche ha chiuso la carriera con una media stratosferica. All’inizio ricordo Rinaldi e Luciani, poi logicamente Roberto Bianchi anche se con lui me la cavavo abbastanza bene. I nettunesi erano ossi duri e mi sono anche trovato di fronte Beppe Carelli: mi ha sparato due doppi contro la rete, per fortuna subito dopo è venuto a giocare da noi”.

Molti ex giocatori amano dire “il mio baseball”. Quale era quello di Mike? “Quello degli anni ’70, primi anni ’80: c’erano sponsor, soldi, spettatori, giocatori forti italiani e stranieri. C’erano i fuoricampo che portavano spettacolo. E poi c’era Rimini, intesa non solo come squadra ma anche come città. La spiaggia, la bella vita, molti giocatori di altre squadre venivano a Rimini a far festa con noi nei giorni liberi”.

Romano continua ad allenare nel Rimini 86 e non se ne parla di attaccare gli spikes al chiodo. “Uscire dal campo da baseball è una gara dura. Sinceramente non ho più voglia di fare il manager, ma come aiuto allenatore mi diverto ancora un sacco”.

Informazioni su Carlo Ravegnani 290 Articoli
Carlo Ravegnani, nato a Rimini il 31 gennaio del 1968, ha iniziato la carriera giornalistica a 20 anni nell'allora Gazzetta di Rimini, "sostituita" dal 1993 dall'attuale Corriere Romagna dove lavora come redattore sportivo. Collaboratore per la zona di Rimini del Corriere dello Sport-Stadio, il baseball è stata una componente fondamentale nella sua vita: dapprima tifoso sugli spalti dello Stadio dei Pirati poi giocatore nel mitico Parco Marecchia e poi nel Rimini 86, società che ha fondato assieme a un gruppo di irriducibili amici. Quindi giornalista del batti e corri sulla propria testata e alcune saltuarie collaborazioni con riviste specializzate oltre che radiocronista delle partite dei Pirati assieme all'amico e collega Andrea Perari. Negli ultimi anni è iniziata anche la carriera dirigenziale, con la presidenza (dal 2014) dei Falcons Torre Pedrera. La passione è stata tramandata al figlio Riccardo che gioca lanciatore e prima base negli stessi Falcons.

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